Don Francesco

Per tracciare un profilo biografico di Don Francesco Troiani, primo parroco di San Benedetto Giuseppe Labre, riportiamo alcuni articoli e testimonianze.

 


 

 

“Deceduto don Francesco Troiani”
da RomaSette.it del 17 dicembre 2013

Da oltre 20 anni parroco a San Benedetto Giuseppe Labre, era nato a Roma nel 1948. Le esequie mercoledì 18, alle 16, nella chiesa della parrocchia, con il cardinale Agostino Vallini.

Si è spento nella notte tra lunedì 16 e martedì 17 dicembre don Francesco Troiani, da più di 20 anni parroco a San Benedetto Giuseppe Labre. Malato da tempo, lo scorso anno aveva subito anche un’operazione, ma non aveva abbandonato la sua comunità, alla Torraccia, nel cuore di San Basilio, della quale aveva assunto la guida pastorale poco dopo l’inizio dei lavori di costruzione della chiesa, il 1° settembre 1993. Nel 1997 la dedicazione dei locali, e 2 anni dopo, nel 1999, la visita di Giovanni Paolo II.

Nato a Roma il 22 novembre 1948, don Francesco era stato ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano il 21 maggio 1988. Nel settembre 1992 era diventato amministratore parrocchiale all’Assunzione di Maria, per divenire poi, l’anno dopo, parroco a San Benedetto Giuseppe Labre, dove, nei primissimi mesi, era lui stesso ospitato nella vicina parrocchia di San Cleto, dato che nel quartiere non c’era nulla: «Appena cinque famiglie», raccontava lui stesso in un’intervista concessa a Roma Sette nel gennaio 2011.

Da allora, sotto la guida pastorale di don Francesco, la comunità è fiorita. E tutti, a cominciare dai giovani che gli erano particolarmente cari, torneranno a stringersi intorno a lui domani, mercoledì 18 dicembre, alle 16, per la celebrazione delle esequie, presieduta dal cardinale Agostino Vallini.


 

“Don Francesco Troiani, il sacerdote che «amava donarsi»”
di Daniele Piccini da RomaSette.it del 19 dicembre 2013

Centinaia di persone alle esequie del parroco di San Benedetto Giuseppe Labre. Il cardinale vicario Agostino Vallini: «Chiedeva di poter morire mentre consegnava la Parola, il Signore lo ha esaudito».
«La morte di don Francesco Troiani nel tempo di Avvento, improvvisa anche se la sua salute era ormai cagionevole, è una sorta di grazia per lui e per noi, perché apre uno squarcio nel buio del mistero della morte, per farci capire chi siamo, dove andiamo e dov’è lui oggi. Per lui ora il tempo non esiste più, vive nel giorno di Dio». Con queste parole, pronunciate durante l’omelia, il cardinale vicario Agostino Vallini ha confortato le centinaia di persone del quartiere Torraccia, a nord di Roma, intervenute, nel pomeriggio del 18 dicembre, alle esequie del parroco di San Benedetto Giuseppe Labre, presiedute dallo stesso cardinale, concelebrate dal vescovo di settore monsignor Guerino Di Tora, dal viceparroco, don Pierangelo Pedretti, dal rettore del seminario Redemptoris Mater, monsignor Claudiano Strazzari e dal parroco di San Mauro Abate, monsignor Graziano Giancarlo e partecipate da circa sessanta sacerdoti.

Nato nel 1948, ordinato sacerdote nel 1988, dal 1993 alla guida della parrocchia di via Donato Menichella, don Troiani soffriva di cuore da diverso tempo e un anno fa era stato colpito da un tumore, male che lunedì sera lo ha strappato alla parrocchia che aveva contribuito a fondare, proprio mentre, in un salone parrocchiale, consegnava la Scrittura all’ottava comunità neocatecumenale.

Don Troiani entra ora nel mistero dell’Avvento. «Una parola – ha spiegato il cardinale Vallini – che evoca almeno tre dimensioni. È stato tutto il corso della storia dal giorno del peccato al giorno dell’arrivo del Messia. È poi l’attesa gioiosa del Natale di Gesù nella storia, il giorno dell’apparizione». C’è infine un «terzo Avvento». Sono i «giorni della vita verso l’esperienza piena di Dio che si manifesta nella gloria per ciascuno di noi: è l’esperienza che il nostro don Francesco sta vivendo in queste ore e in questi giorni. Stasera – ha proseguito il porporato – affidiamo alla misericordia buona del Padre Santo questo nostro caro fratello sacerdote che amava donarsi. Ha offerto la sua malattia per i preti perché siano santi. Chiedeva di poter morire mentre esercitava il ministero. Mentre consegnava la Parola, il Signore lo ha esaudito». Il cardinale Vallini ha invitato la comunità a raccogliere l’eredità di don Troiani, il suo «amore per il nascondimento», la sua «capacità di sentirsi piccoli, di fare il bene in modo umile e semplice, rimanendo in seconda linea, senza badare alla “visibilità”».

Don Troiani lascia alla sua comunità e ai suoi collaboratori esempio e doni preziosi. «Don Francesco ha fondato questa parrocchia e l’ha impostata in modo sano e cattolico», spiega il viceparroco don Pedretti, da dieci anni a fianco di don Troiani. «Due – prosegue commosso – le eredità che lascia a me personalmente: che si può stare in Croce e subire ogni umiliazione senza perdere la pace; e un grande amore per la Parola. Don Francesco confessava molti preti ed era per molti di loro un punto di riferimento».

A San Benedetto Giuseppe Labre, don Troiani lascia i semi delle tante comunità neocatecumenali fondate. «Don Francesco – dice Francesco Gasparri, informatore farmaceutico – era bravo nel proporre il Cammino, una grande opera dello Spirito Santo, nata dal Concilio Vaticano II. Facendo bene il Cammino ha fatto del bene ai giovani e a tutta la comunità. Il suo sogno era morire nei suoi paramenti e nella “battaglia” per la Parola. E così è stato». «Sono tanto grata a don Francesco – ammette Claudia Marchetti, casalinga e madre di due bimbi – senza di lui e senza la sua apertura alle comunità neocatecumenali non ci sarebbe il mio matrimonio e non ci sarebbero i miei figli. Lo conoscevo da poco, ma la gratitudine verso di lui è tanta».

Nel suo saluto finale alla comunità, il cardinale Vallini ha ricordato la manifestazione dei “forconi”, in corso a Roma proprio in quelle ore, marcando la differenza rispetto al metodo dei cristiani. «A Roma ci sono oggi riunioni di rabbia e di sconforto, legittime. Ma certo il nostro clima è diverso. È un clima che deve generare impegno testimonianza e coraggio, anche per il progresso civile di questa nostra città e di questo nostro Paese. Noi cristiani abbiamo una grande responsabilità: non possiamo curare solo l’”orticello”. Il Signore ci manda in tutto il mondo. Noi dobbiamo mostrare che solo Cristo, che cambia i cuori, può creare la giustizia sociale e la realizzazione del bene per tutti. Nelle tensioni, nelle violenze, nelle lotte, nelle guerre, nel sangue – ha concluso il porporato – non c’è Dio».


 

“Don Francesco Troiani: Dio li fa i miracoli!”
scritto da don Antonio Pascale.

In questi tre mesi che sono arrivato a Roma per studiare teologia dogmatica all’Università Gregoriana, avendo condiviso l’esperienza pastorale nella Parrocchia di San Benedetto Giuseppe Labre, nella zona di Torraccia, ho avuto la grazia di conoscere un prete strano ma anche originale nel suo stile: il parroco don Francesco.
Voglio scrivere di lui per ringraziare il Signore per avermelo fatto incontrare sul mio cammino perché sono certo che la sua figura sarà feconda e fonte di benedizione per la mia vita e per la vita di tutti coloro che lo hanno conosciuto direttamente o che ne sentiranno parlare.

Questo prete era strano per me perché aveva una lettura della realtà e dei fatti della vita veri perché radicali e spesso su questo ci “scontravamo” a volte apertamente altre volte cercavo un approccio simpatico, di tenerezza, lui mi guardava, stava in silenzio ma non addolciva quello che mi aveva detto.
Un dialogo soprattutto custodisco nel cuore, come suo testamento spirituale, un venerdì sera abbiamo parlato dalle 9 alle 11.
Abbiamo discusso di tante cose, ma alcune sue condivisioni e modi di vedere le conserverò come un tesoro prezioso.
Parlando della sua malattia, un tumore al Colon mi ha detto: “Benedico Dio ogni giorno per questo tumore, è un compagno di viaggio meraviglioso, dove vedo che Dio è tenerissimo con me”. Lui credeva veramente che Dio è misericordia, che è bontà. E continuando mi ha detto che “nella vita la cosa più importante è fare la volontà di Dio… perché Cristo ha vinto la morte, però questo lo puoi annunciare solo se ce lo hai dentro, se Cristo è risorto e vive in te. Il cristianesimo non è un’idea ma è una persona: Gesù Cristo”.
Poi gli ho chiesto se mi prestava qualche suo libro e lui mi ha risposto: “No! Non te li presto i miei libri, perché sono i miei, anche Satana conosce Dio ma non si converte. Satana conosce perfettamente chi è Dio. Il cristianesimo non è una dottrina. Io capisco questa tua passione per lo studio, anche io quando ero giovane ci sono passato, tu devi studiare sei venuto qui per questo, però stai attento a non intellettualizzare Dio”.
Questa cosa che mi ha detto con passione mi ha fatto arrabbiare dentro, e gli ho risposto: “ma tu non me li presti perché sei attaccato alle cose, tutti questi anni di cammino ancora non ti hanno convertito, sei schiavo dei tuoi libri” e lui mi ha risposto: “È proprio il contrario! Io non te li presto perché sono libero, perché ho la libertà di dirti di no!”
Un altro suo insegnamento è proprio sulla giustizia perché a volte rischiamo di essere giustizieri, lui invece spesso mi diceva: “il cristiano non si ribella al male. Ama il tuo nemico. Verranno giorni in cui ci saranno persecuzioni serie, lì si vedrà chi è cristiano e chi no!”
Era originale nel suo stile perché non metteva nessun timore ma era davvero umile, ti bastonava ma accoglieva tutto quello che gli dicevi con tenerezza, questa sua libertà  l’ho sperimentata nella possibilità di essere anche io libero nel parlare con lui. Non si difendeva dietro forme che ti fanno vivere relazioni finte, ma ho percepito che lui voleva veramente il mio bene e mi diceva la verità.
Quella sera abbiamo anche parlato della morte e mi ha detto che lui in qualche modo era già preparato perché in un periodo di convalescenza aveva avuto una crisi respiratoria che gli aveva anticipato la sensazione di essere senza respiro e l’aveva vissuta serenamente, poi però con grande umiltà ha precisato: “non so come sarà in quel momento”.
Domenica 15, durante le quarantore di adorazione eucaristica abbiamo vissuto in parrocchia una veglia vocazionale pensata per i giovani e animata dai giovani ma aperta a tutti dalle 3 alle 7 del mattino. Questa iniziativa era già pubblicizzata perché si fa da tanti anni ma io ho chiesto a Don Francesco se bisognava dirlo anche alle messa delle 18 e 30 e lui mi ha risposto:  “anche se vengono principalmente i giovani del cammino, dillo, perché Dio li fa i miracoli!”.
Il vero miracolo che Dio mi ha regalato attraverso di lui è stato vederlo morire lunedì 16 al termine della liturgia della Parola che ha concluso le catechesi del cammino neocatecumenale fatte in parrocchia. Lui ha presieduto la liturgia, ha fatto una profonda e simpatica omelia commentando il prologo di Giovanni, è arrivato a metà della consegna delle bibbie, poi si è seduto perché aveva difficoltà a respirare, senza lamentarsi, né chiedere aiuto, anzi a chi gli ha chiesto se avesse bisogno di qualcosa ha risposto: “no, no”.
A conclusione del rito, le sue condizioni sono peggiorate, è stato soccorso, portato in ospedale ed è tornato alla casa del Padre. Il suo funerale e la sua sepoltura sono stati una Pasqua. La sua morte vissuta come una consegna nella braccia di Cristo che è venuto a prenderlo in questo avvento, è stata la sua ultima parola per me, la sintesi e la conferma che tutto ciò che in questo breve periodo ha cercato di insegnarmi non era qualcosa di sterile perché lui l’ha vissuto, è rimasto fedele e si è compiuta in lui questa parola del Signore: “Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 39).
Non so se è chiedere troppo ma io in questa scena del vangelo mi identifico nel centurione perché ero di fronte a lui e ho pensato a questo passo del vangelo.
Ora lui è in cielo e la grazia che gli voglio chiedere è che anche noi illuminati dal suo esempio possiamo vivere fino in fondo il nostro essere cristiani per rendere gloria a Dio nel nostro quotidiano e per morire come suoi Figli nel Figlio, perché la morte non è la fine di tutto ma l’abbraccio finale e definitivo con il Signore e nella misura in cui lo abbiamo amato in questa vita lo accoglieremo con gioia per continuare a vivere con lui pienamente nell’altra.  Grazie don Francesco.


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